Discorso del Presidente dell’A.N.P.d’I. di Siena pronunciato in occasione del dodicesimo anniversario dell’intitolazione della Piazza alla M.O.V.M. Roberto Bandini in Colle di Val d’Elsa
Uno dei momenti più emozionanti del recente pellegrinaggio organizzato dalla Segreteria Nazionale dell’Associazione Paracadutisti d’Italia sui luoghi della battaglia di El Alamein, al quale ho personalmente partecipato con dieci soci della sezione ANPd’I di Siena ed oltre 500 provenienti da tutte le sezioni d’Italia, è stato il giorno nel quale, a turno, abbiamo potuto percorrere quegli ottanta chilometri a nord nel deserto fino ad arrivare sulle buche che videro, settanta anni fa, la FOLGORE entrare nella leggenda.
In una buca di queste, presso un pianoro totalmente privo di ripari che sulle carte viene indicato col nome di quota 125 ma che risulta indistinguibile dalla desolante piattezza del deserto, attendeva l’attacco un giovane tenente di Colle Val d’Elsa, vice comandante la 21^ compagnia del 186° Reggimento paracadutisti.
Di questo giovane ufficiale, caduto da eroe in quei giorni lontani, noi ricordiamo oggi l’esempio col cuore gonfio di ammirazione e riconoscenza.
Roberto Bandini nasce a Colle di Val d’Elsa il 28 gennaio del 1917, compie i regolari studi medi inferiori e superiori e si iscrive alla Facoltà di Chimica dell’Università di Firenze. A 18 anni si arruola volontario, interrompendo gli studi, nel VI° Battaglione mitraglieri, con il quale, inquadrato nella Divisione “Tevere”, prende parte, in A.O.I., alla Campagna d’Etiopia. Rientrato in Italia a metà Giugno del 1936, ottiene la nomina a Sottotenente di complemento e, prestato il servizio di prima nomina presso il I° Reggimento Granatieri di Sardegna, viene collocato in congedo nel febbraio del 1937. Richiamato in servizio nello stesso anno, torna nuovamente in A.O.I. con il 47° Battaglione rimanendovi fino al Novembre 1939.
Rientrato in Italia riprende gli studi interrotti e, nell’ottobre del 1940, ottiene la promozione a Tenente. Alla fine dello stesso anno viene nuovamente richiamato alle armi e destinato in forza al III° Reggimento Granatieri. Partecipa alle operazioni di guerra sul fronte Greco fino all’ottobre del 1941 quando decide di inoltrare la domanda per essere assegnato alla nuova Specialità dei Paracadutisti.
Dopo il corso ed il conseguimento del Brevetto di Paracadutista, viene inquadrato nel 186° Reggimento Paracadutisti e con esso inviato, il 15 Luglio del 1942, in Africa Settentrionale.
Da questo momento Roberto Bandini è parte integrante della leggenda della FOLGORE.
Il 23 ottobre 1942 sulle aride sabbie del deserto egiziano sta per esplodere la più sanguinosa, eroica ed impari terza e finale battaglia di El Alamein.
Battaglia che fermerà definitivamente l’avanzata delle truppe italo-tedesche verso Alessandria e che segnerà l’inizio della fine della campagna d’Africa e di fatto, assieme alla battaglia di Stalingrado, rappresenterà il punto di svolta del secondo conflitto mondiale.
Partiti dall’Italia in 5.000, nel tenere le posizioni senza arretrare di un metro e smettendo di combattere solo dopo aver finito viveri e munizioni, della Folgore il 6 novembre 1942, erano rimasti 304 tra ufficiali e soldati.
Winston Churchill, il 21 novembre 1942, durante il discorso alla Camera dei Comuni a Londra disse: “Dobbiamo davvero inchinarci, davanti ai resti di quelli che furono i Leoni della Folgore”.
Segni di rispetto per il valore dei nostri paracadutisti che sono rimasti indelebili nella storia.
La guerra è una cosa sporca, che puzza di morte ed esalta la ferocità degli uomini. Per il soldato è un dovere, che segna l’esistenza.
Chi l’ha fatta ne rivive giorno per giorno per il resto della vita la crudezza e la paura che lascia la battaglia, il vivere con la morte sempre al proprio fianco.
La sensazione fortissima che si prova girando tra le buche, mirabilmente restaurate dai volontari diretti dai professori universitari della Società Italiana di Geografia e Geologia Militare dell’Università di Padova, a chi come me e tanti altri che la guerra l’hanno solo letta sui libri, è quella di un gruppo di Uomini, di veri Soldati, pochi e non sufficientemente equipaggiati, che seppero combattere da eroi una guerra impari, per dei valori profondamente sentiti, soffrendo e morendo con assoluta generosità attorno al Tricolore e con nel cuore degli Ideali forti.
Come può essere successo tutto ciò?
Perché “ragazzi normali” seppero diventare eroi celebrati addirittura dallo stesso nemico?
Come può essere accaduto che il Ten. Roberto Bandini, giovane brillante, colto, intelligente, bello, ricco, abbia coscientemente sacrificato tutto morendo da purissimo eroe in quella landa assolata e inospitale?
Entrando in quelle buche, rese sacre dal sangue di purissimi eroi, mi sono fatto un’idea: non furono gli ordini urlati, le false promesse, la “vuota retorica” a spingere al sacrificio supremo quei soldati. Quei combattenti soli contro molti, in quella terra lontana seppero costruire nell’immensità del deserto una piccola grande
Patria di fratellanza e di amore, dividendo tra loro la pochissima acqua, il pane e la durissima vita del fronte. Quel lembo di deserto per loro diventò la loro terra, da difendere con onore e ad ogni costo. Il soldato al fianco divenne un fratello da aiutare, perché sicuri che al momento opportuno lui avrebbe fatto la medesima cosa al di là del grado rivestito.
Ideali, per questi soldati che sognavano il cielo del lancio e che si trovarono invece arenati tra le sabbie del deserto africano, che valevano la pena di essere vissuti e onorati, combattendo fino all’estremo sacrificio contro un nemico i cui numeri avrebbero fatto tremare chiunque.
Oggi, a 70 anni esatti da quell’immane tributo, noi siamo qui ad onorare, con profondo rispetto ed ammirazione grandissima, Roberto Bandini e la Folgore tutta, che uscendo imbattuta da El Alamein, addita alle generazioni future un percorso di amore e di gloria.